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Racconti di vita Lunigianese scolpiti nella pietra

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La Lunigiana conserva non poche testimonianze di sculture in pietra arenaria, un materiale che ben si presta alla realizzazione di opere architettoniche ed ornamentali e che nel passato sfruttava i molteplici affioramenti presenti. Tra gli ultimi esempi di una tecnica che ha caratterizzato per secoli questo territorio emerge il fregio che orna la facciata del Teatro di Bagnone, del quale i gessi recentemente restaurati hanno costituito il modello.Si tratta di un fregio che racconta il lavoro e la vita rurale lunigianese. È articolato in cinque elementi (quattro misurano 75 x 290 cm; quello centrale 75 x 400 cm), posti a coronamento delle grandi aperture del paramento, ciascuno composto di tre parti di cui quella centrale più ampia delle due laterali. Di questi ci sono pervenuti soltanto parzialmente gessi originali che qui vengono presentati. Il primo rilievo (Foto A) è dedicato alla lavorazione della pietra e ritrae lo scalpellino che, con punta e mazzuolo, sta scolpendo una cornice, a quello che si osserva negli stipiti della porta del Teatro.

Nel riquadro centrale è rappresentato l’approvigionamento della pietra con il trasporto del masso che, spinto faticosamente su tronchi con l’aiuto di leve di ferro, viene poi lavorato a colpi di mazza. Nel riquadro successivo un muratore è intento alla costruzione di un muro, aiutato da una donna recante un secchio sul capo. Questa prima parte del fregio celebra probabilmente la realizzazione dell’edificio stesso, dall’estrazione dei blocchi dalla vicina cava alla muratura, nella quale da varie fonti sappiamo che all’epoca venivano impiegate anche le donne, addette al trasporto dei materiali.Nel pannello seguente (Foto B) rivive il lavoro dei campi con nella prima scena l’uomo piegato nell’atto della mietitura del grano che, raccolto in un covone, viene trasportato da una donna.

Nel riquadro centrale, mentre un’anziana riposa sotto un albero, l’uomo e la donna, con l’aiuto di un asino per il trasporto, si dirigono carichi verso il mulino; l’uomo incede ricurvo sotto il peso del sacco che reca sulle spalle preceduto dalla donna con un involucro sul capo, secondo la tradizione lunigianese. Il mugnaio versa poi il grano nella tramoggia da dove scende lentamente nelle macine sottostanti, mentre la donna attende in disparte.Il fregio centrale è celebratrivo (Foto C); illustra simbolicamente il borgo di Bagnone ce negli anni precedenti si era rinnovato con la realizzazione di alcune importanti opere architettoniche. Al centro è una figura virile giacente che lascia uscire l’acqua da una brocca; è distesa entro una stretta valle dalla quale s’intravedono ai lati i fianchi scoscesi e profondamente incavati. Si tratta della personificazione del torrente Bagnone.Ai lati coppie di putti sorreggono due monumenti; quelli sulla sinistra una chiesetta con finestre gotiche, con allusione al rifacimento della quattrocentesca cappella di Santa Maria, posta nei pressi del palazzo Quartieri, che nel 1923 era stata ricostruita in forme “francescane” su commissione del senatore Ferdinando Quartieri; i putti sulla destra, con espressione dolente, mostrano il Monumento ai Caduti rappresentato dal loggiato inaugurato nel 1929. I pannelli sono alternati a due scudi: uno è lo stemma del comune di Bagnone con la doppia torre sormontata da due falci di luna, delle quali una è sorretta da una mano; l’altro è l’insegna araldica della famiglia Quartieri.Nella cornice sottostante è scolpito: MAGLI D(IPINSE). 1931 A. IX. PRETARI SC(OLPI’), indicanti rispettivamente l’autore del disegno e dei gessi e lo scalpellino che ha eseguito il rilievo.Augusto Magli (La Spezia 1890-1962), allievo ed amico dello scultore spezzino Angiolo Del Santo, appartiene a quel gruppo di intellettuali che nel secondo-terzo decennio del Novecento danno vita ad un ricco dibattito culturale nella cittadina ligure. Negli anni tra il 1910 ed il 1940 si dedica alla scultura, in particolare alla decorazione architettonica in collaborazione con l’architetto Franco Oliva.

L’architetto, progettista di numerosi edifici prestigiosi, a partire dal 1913 sembra infatti prediligere, per la decorazione ornamentale, piuttosto l’opera di Magli che quella di Del Santo. Nel secondo dopoguerra Magli abbandona la scultura per la pittura e partecipa alle principali rassegne nazionali, alle Quadriennali romane, alle Nazionali d’Arte Sacra di Bergamo e di Bologna, ai premi Marzotto e Michetti.Francesco Pretari è un abile scalpellino. Nato a Bagnone nel 1869, dove muore nel 1951, è autore di molte opere in arenaria. Oltre al fregio qui ricordato, esegue sempre in pietra lavorata, il parametro di Santa Maria ed il Monumento ai Caduti. Egli lavora alle dipendenze del senatore Quartieri; nel 1931 viene nominato cavaliere ed insignito della Stella al Merito del lavoro per la scultura in arenaria eseguita nel corso di trent’anni.Riprendendo la lettura del fregio, il quarto pannello (Foto D) è dedicato alla vendita del raccolto. Nella prima scena l’uomo è intento a trattare l’acquisto di un grasso maiale con una donna che solleva le mani indicando il numero otto con le dita, probabilmente il prezzo richiesto. Il riquadro centrale fissa rappresentata la famiglia che conduce al mercato gli animali allevati: un giovane cammina conducendo un vitello, seguito dalla donna che tiene per mano un bimbo affiancato da un agnello. A questo segue la compravendita delle castagne tra due donne ritratte nell’atrio di un’abitazione; in primo piano sacchi colmi, dei quali uno, ancora chiuso a terra, è l’oggetto dell’acquisto. Nel quitno pannello si leggono scene di vita domestica: una donna seduta con le mani in grembo presso una fonte è intenta ad attingere l’acqua con un secchio; segue la rappresentazione della veglia, il momento serale durante il quale tutta la famiglia si raccoglie intorno al focolare. A chiusura del fregio (Foto E) protagonista è ancora una donna raffigurata nell’ultimo riquadro intenta a filare con la rocca e l’arcolaio, lo sguardo rivolto verso una finestra aperta sulla quale è posato un vaso di fiori, mentre accanto a lei un gatto fa le fusa.Il palazzo sul cui paramento è inserito il fregio ornamentale è sorto in un periodo, tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, in cui Bagnone vive una stagione di trasformazione architettonica ed urbanistica, da ricondurre in gran parte alla presenza di un personaggio autorevole, il senatore Ferdinando Quartieri. In anni in cui la cultura si esprime nella realizzazione di edifici monumentali che ripropongono le forme della tradizione nazionale, qui si dà vita ad un discreto numero di opere utilizzando la pietra arenaria a vista, secondo la consuetudine medioevale e rinascimentale. Tra queste appunto il palazzo del Dopolavoro, poi Teatro, una costruzione in conci di arenaria lavorata ricavata dalle cave aperte vicino al paese. Si trattava di una struttura che, come il termine stesso indica, era destinata al tempo lasciato libero dal lavoro, riprendendo modelli analoghi sorti in tutta Europa, sulla scia di centri sociali diffusisi negli Stati Uniti alla fine della prima guerra mondiale, e che il fascismo fa propri già nel 1920. Accanto all’Opera Nazionale Balilla ed ai Fasci giovanili, quella del Dopolavoro diviene la più vasta e capillare delle organizzazioni di massa create dal regime, ed uno dei maggiori veicoli delle iniziative tra il Partito Nazionale Fascista e la popolazione.A partire dal 1927, quando una grave crisi agricola aumenta la disoccupazione e favorisce la migrazione verso le città, il fascismo avvia una politica di intervento anche nelle campagne.

L’anno seguente 50 mila rirali vemgomo portati con i camion a Roma per celebrare la ripresa delle battaglie economiche. L’Opera Nazionale Dopolavoro (OND) partecipa a questo progetto con l’obiettivo dichiarato di “armonizzare il ritmo dell’agricoltura al tempo della scienza e della modernità” e si prefigge di valorizzare la vita contadina, che appariva più faticosa e meno gratificante di quella dei lavoratori delle città e nello stesso tempo di stimolare la produttività nel mondo agricolo. Nelle zone rurali sono i circoli ricreativi ad offrire l’opportunità di raggiungere la popolazione rurale e di avvicinarla al modo di vivere nazionale. Il Dopolavoro diviene perciò anche in questo ambito, oltre che in quello dei salariati, strumento di persuasione ideologica e sociale.

A partire dal 1929, i dirigenti dell’OND ridanno vita a quelle tradizioni popolari che, relegate dallo stato liberale in un ruolo marginale, a poco a poco, con il diffondersi dell’alfabetismo, dell’urbanizzazione e delle migliorate comunicazioni, stavano scomparendo. Tra le prime venne istituita nel 1930 la “Festa dell’Uva”, proclamata per volere del capo del governo festività nazionale da celebrarsi il 28 settembre di ogni anno. In questo contesto nasce il Dopolavoro a Bagnone, quando l’amministrazione pubblica andava realizzando varie opere tra le quali la più significativa da un punto di vista celebrativo è il Monumento ai Caduti della prima guerra mondiale con il quale si era trasformata la piccola piazza del mercato, offrendo una immagine rinnovata e solenne dell’accesso al vecchio borgo. Nel 1929 il senatore Quartieri aveva ampliato la residenza di famiglia inglobando nella stessa l’adiacente teatro settecentesco. Poco dopo, sulla sponda sinistra del torrente Bagnone, in un luogo di un antico quartiere parzialmente demolito per l’occasione, prende avvio il cantiere per la realizzazione del palazzo che sarà destinato a sede del Dopolavoro. Quartieri fa costruire a sue spese un edificio che riprende le forme dei palazzi rinascimentali toscani, secondo i canoni dell’arte nuova la quale, come scrive Giuseppe Bottai, doveva dar vita a “costruzioni più solide, più ampie, più forti sulla linea della grande tradizione dell’arte autoctona italiana”. L’edificio presenta un paramento di conci di pietra, ornato con mensole e cornici decorate e con sulla facciata, nella quale si apre una trifora, il fregio in arenaria scolpita a basso e medio rilievo. Una volta completato, il palazzo viene donato all’OND.

Il contratto di cessione è stipulato il 26 settembre 1934 con Giuseppe Bandinelli, membro della Segreteria generaledell’OND, su delega dell’on. Achille Storace, e l’opera viene stimata 200 mila lire. Il fregio celebra il lavoro e la vita rurale attraverso la rappresentazione degli scalpellini, del muratore e del contadino, attività ricorrenti nel mondo lunigianese dei primi decenni del Novecento, illustrate secondo modalità e cadenze che si ripetevano immutate da secoli e che il progresso tecnologico non aveva ancora modificato.Magli ripropone in questo fregio per il tema del lavoro, largamente rappresentato nelle sue varie espressioni in epoca fascista, ma, pur attenendosi all’ideologia del momento, pare differenziarsi dalle forme espressive coeve; le sue figure risultano meno ruvide ed aspre e sembrano ispirarsi ai modi del “verismo sociale”, quella tendenza che, sviluppatasi negli ultimi due decenni dell’Ottocento, è proseguita nel corso del Novecento.

Qui, ai toni dell’epica del lavoro, si affianca la descrizione dello spazio domestico o della campagna punteggiata da alberi e fiumi, con accenti intimistici presenti nella presentazione di talune figure femminili. In quest’opera è infatti diffusamente presente la donna rivestita dalle lunghe ed ampie gonne arricciate in vita, sormontate dal grembiule dalle ampie tasche, complemento indispensabile dell’abbigliamento femminile, portato talvolta con un lembo fermato in vita; ha il capo ricoperto da tradizionale fazzoletto con le cocche raccolte sulla testa. Un modo di vestire tradizionale, riscontrabile ancora in qualche donna anziana nella seconda metà del secolo, molto prossimo a quei costumi popolari che in quegli anni si auspicava divenissero di uso quotidiano.La figura femminile è presente in quasi tutti i rilievi, a sottolineare il ruolo che la donna svolgeva lavorando a fianco dell’uomo, proprio come avenniva nella società rurale. Nella costruzione dell’edificio la donna ha un compito di manovalanza, addetta al trasporto della sabbia o della calce; così anche nell’attività agricola. Soltanto nella contrattazione del maiale sembra essere protagonista ed il suo atteggiamento rievoca la figura della “massaia rurale”, che regge l’economia della famiglia e le cui virtù venivano additate al mondo urbano. È figura di rilievo anche nell’ultimo pannello, dedicato alla vita domestica, dove è ancora sempre comunque operosa. Quando non porta dei carichi sul capo, la donna tiene la testa chinata, gli occhi abbassati in un atteggiamento raccolto e sottomesso.La figura maschile è definita da pochi tratti ed i volti virili sembrano aggiornati al linguaggio del tempo con i tratti dei visi di profilo rigidi esquadrati, labbra pronunciate e naso marcato, secondo la ben nota iconografia fascista. Si distacca nettamente dagli altri, per l’aspetto bonario ed i suoi realistici baffoni lo scalpellino che, secondo testimonianze orali, raffigura Francesco Pretari (Foto F), l’autore dei rilievi. Il confornto con i pannelli in gesso evidenzia come questa figura sia l’unica che si differenza dal modello; se ne evince che, probabilmente in corso d’opera, lo scalpellino ne ha modificato i tratti, realizzando il proprio autoritratto.

Non è possibile al momento un confronto con altre opere realizzate dal Magli, la cui esperienza scultorea è in corso di studio, mentre l’attenzione è stata rivolta alla produzione pittorica dagli anni Quaranta. In questi rilievi si coglie da un lato un riferimento esplicito dell’autore della plastica quattrocentesca toscana, come nel pannello centrale nel quale in particolare il modello è costruito da Donatello; dall’altro vi è nel fregio la celebrazione di una certa semplicità paesana, sostenuta in quegli anni da Soffici e dal gruppo di Firenze in seno al movimento “Novecento”, in particolare in occasione della prima mostra del Novecento italiano del 1926. In contrapposizione alla celebrazione della magniloquenza e dell’eroismo ed anche di una certa solennità monumentale che si vanno affermando, quale si osserva ad esempio nelle opere coeve del carraarese Arturo Dazzi, nei nostri rilievi si evocano aspetti “naturali” della vita dell’uomo, in particolare dei ceti più umili rappresentati in iconografie domestiche e nell’atteggiamento intimista di quelle figure femminili con lo sguardo abbassato e le mani abbandonate in grembo. 

Con la “fusione di realismo e poesia” celebrata dalla rivista “Gente nostra”, organo ufficiale dell’Opera, si esplicita anche qui l’obiettivo perseguito dall’OND di “abituare il popolo all’ordine, alla disciplina, alla tolleranza della fatica, al vigore del corpo, all’energia dello spirito per garantirlo dall’ozio sempre seguito dalla noia, dalla frivolezza e dal vizio”. A questo si associa il classicismo un po’ accademico del pannello centrale, secondo il modello culturale che gli organizzatori della cultura dopolavoristica offrivano alle masse popolari.L’immagine propagandistica che si vuole trasmettere è quella di un mondo rurale idilliaco. Sappiamo come in realtà la vita dei contadini lunigianesi fosse ben diversa. Pochi anni prima, nel 1927, erano stati rinnovati i contratti di mezzadria a condizioni più dure dei precedenti e le magre terre spezzettate in piccole proprietà non consentivano un reddito sufficiente, come testimonia la diffusa emigrazione. Da Bagnone all’epoca per vari mesi all’anno ci si recava in barsana, a svolgere l’attività di venditore ambulante per integrare il modesto ricavato dell’agricoltura locale. Il Dopolavoro comunale di Bagnone diviene punto di riferimento per tutte le manifestazioni del borgo e non soltanto. Nel 1936 ospita una “Mostra Popolaresca d’arte Lunigianese” articolata in due Sezioni, Pittura e Artigianato, nella quale non è prevista l’esposizione di opere di arenaria scolpita, segno che quella del Pretari è forse l’ultima esperienza di scalpellino-scultore lunigianese. La disponibilità del marmo delle vicine cave apuane ha forse impedito che all’arenaria nel nostro territorio fossero riconosciute quelle qualità di pregio artistico che i nostri rilievi invece evidenziano.


Caterina Rapetti

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I Gessi di Bagnone

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I gessi di Bagnone sono modelli originali in scala 1: 1, utilizzati per la traduzione in arenaria che fu poi collocata nel frontone del Teatro Comunale costruito attorno al 1930. Per meglio chiarirne l'importanza ed il valore si ritiene utile riassumere a grandi linee alcuni dati tecnici. 
I bassorilievi in gesso sono il frutto di un elaborato procedimento. La prima fase riguarda il progetto costituito, quasi sempre, da un disegno in scala ridotta o grande al vero, sulla base del quale si prepara un supporto in legno per l'applicazione di un piano di argilla. Dopo avervi delineato il contorno delle figure, si procede con i volumi ottenuti “in mettere”, cioè aggiungendo gradualmente porzioni di argilla in modo da verificare il procedere del lavoro. Si tratta infatti di precisare continuamente il modellato secondo una serie di valutazioni inerenti i rapporti volumetrici, il chiaroscuro, il dato figurativo, e in questo caso il rapporto con l'architettura. Il modello in argilla, una volta ultimato, è stato riportato in gesso con la tecnica della “forma persa”. Sull'argilla, vari strati di scagliola liquida, sono applicati gradualmente fino a formare uno strato di circa 5/6 cm, ottenendo così un fedele stampo in negativo. Dopo averlo isolato si applica al suo interno uno strato di scagliola che forma il positivo. Il modello viene liberato rompendo il negativo con scalpello e martello. L'artista, nella preparazione delle opere, tiene conto inoltre del materiale nel quale verrà tradotto il modello. Un’opera cambierà radicalmente a seconda che venga eseguita in marmo statuario, in bronzo, in legno o come in questo caso in arenaria. Nei rilievi del teatro l'autore elimina dal modellato ogni particolare minuto a favore di una sintesi che favorisce la visione a distanza, inoltre applica sul gesso stesso una finitura granulosa a spessore che imita perfettamente la grana dell'arenaria. Da questa sommaria descrizione appare chiaramente come 1'opera d'arte è costituita, ancor prima che dal lavoro finito, dal modello in gesso. Inoltre l'autore si premura di non farli imbrattare, durante le fasi di traduzione in pietra, con segni a matita o altri riferimenti impiegati normalmente in operazioni di questo tipo. L'unica traccia di un sistema di riporto delle misure è costituito da un disco in ferro grande meno della testa di una puntina da disegno, nel quale un incavo serviva per la messa in posizione della croce. Questo è stato rinvenuto nell'angolo sinistro in basso nel pannello dell'allegoria del fiume. In base a queste osservazioni si può dedurre se è stata impiegata la “macchinetta”, sorta di braccio regolabile per il riporto dei punti. Prima del restauro i gessi erano depositati nei magazzini del comune di Bagnone. In precedenza rimasero per lungo tempo appesi al muro nell' officina sottostante al palazzo del dopolavoro. Si tratta di cinque pannelli ed otto stemmi, questi ultimi sono i modelli per le sculture collocate sulle pareti del monumento di piazza Roma nel 1929. Il loro valore artistico e storico ne giustifica l'intervento di restauro e una adeguata collocazione che restituisca le opere al patrimonio della comunità.
BibliografiaI gessi ritrovati : il fregio del teatro di Bagnone ed il restauro dei modelli originali in gesso: agosto 2002 / a cura di Augusto Giuffredi. - Aulla : Mori, [2002].